Questo blog è nato in occasione di una polemica apertasi a Reggio Emilia contro chi vorrebbe togliere risorse pubbliche alla cultura a causa della crisi, con il risultato di costringere alla chiusura la Fondazione I Teatri, l'Istituto Superiore di Studi Musicali - AFAM "Achille Peri" e ridimensionando Fotografia Europea. Siamo i primi a invocare una razionalizzazione delle spese per preservare servizi essenziali, ma non può passare l'idea gretta che investire in cultura non abbia rilevanza sociale. La storia di Reggio Emilia è la dimostrazione dell'esatto contrario di tale equivocato e rudimentale modello di pensiero. Senza contare inoltre che laddove si investe in cultura, formazione e ricerca si dimostrano anche positive ricadute economiche per i territori, con tanto di valori del Pil più alti. Gli scenari economici, da quando Re_Pensante è nato, sono addirittura peggiorati, diventa allora ancora più importante presidiare i valori che ci ispirano.

giovedì 27 ottobre 2011

Gli italiani spendono poco in cultura anche quando non c'è crisi. Sconfortanti dati Siae...

Vi segnaliamo un commento ai rilevamenti Siae a firma Andrea Pellegrini, tratto dal sito www.alleo.it. E' riferito alle spese per lo spettacolo sostenute dagli italiani nel primo semestre 2010 (sono gli ultimi dati disponibili).
Qui di seguito la parte conclusiva dell'articolo. Chi volesse leggerlo integralmente nell'interessante introduzione che riporta i dati statistici rilevati può farlo a questo link..





"...Il vero problema italiano per la musica, come per lo spettacolo, allora, non è tanto la pirateria (che è comunque un problema, e anche la crisi discografica: ormai siamo a un solo Cd acquistato all'anno, per un solo italiano su 4) ma la ormai totale ignoranza quanto alle arti, tutte, in senso lato, persino degli sport, persino nel calcio.
Non ho mai sentito nessun politico, di nessuna parte politica, commentare questi dati, perché sono imbarazzanti. Indicano infatti il fallimento di qualsiasi politica culturale; sono dati che indicano una miseria sedimentata, culturale, profonda, non certo causati dall'azione di questo o quel ministro dell'istruzione o di questo o quel governo. 
L'Italia, dice Grillo, è sull'orlo del fallimento finanziario. Dal punto di vista culturale (in senso lato: cultura sportiva compresa) è già fallita.
La causa è la crisi economica?
No.


1): I dati Siae sono disponibili da anni, e la spesa dell'italiano medio per gli spettacoli non è mai stata superiore a queste cifre neanche in tempi di "stabilità economica" o comunque di "non-crisi". 




E la spesa media per cosmetici maschili, per auto di lusso e imbarcazioni di lusso in Italia è in forte aumento, per esempio, e gli italiani sono il popolo che possiede più telefonini d'Europa, uno ogni 1,5 persone!! Quindi è una questione di scelte.
Gli italiani non sono interessati allo spettacolo, neanche a quello di minimo contenuto culturale, da sempre.
Dati Siae 2001 sul 2000: spesa di un italiano medio in media in un anno per i concerti classici, 0,5€, eccetera.
E' una situazione quindi cronica e profonda e non legata alla "crisi".


2): La stessa Siae dice che i dati sono in (lievissimo; secondo me, impercettibile) miglioramento nell'ultimo anno. Ovvero, proprio nei 2 anni di maggiore “crisi economica” si registrano: +5,7% biglietti per i concerti classici (1mo semestre 2010 rispetto a 1mo semestre 2009); +19,63% jazz). Addirittura -3,46% leggera. Ammesso che questo dato sia interessante, perché per me non lo è - non è idiota rallegrarsi se la spesa di un italiano medio in un anno passa da 60 centesimi l'anno per la classica a una spesa pro capite annua di 72 centesimi??!- sembra che, in tempi, di crisi la gente abbia speso di più per la musica "colta", spendendo più per la classica che per la leggera!
Invece non c'è alcuna differenza sostanziale. E questi dati non indicano un amore maggiore per gli spettacoli: indicano un aumento dei controlli e delle azioni contro l'evasione Siae.


3): Basta leggere un testo divulgativo come La Grammatica Della Musica (Einaudi) di Otto Karoly, diffusissimo: nell'introduzione di Giorgio Pestelli si legge che "fino alla riforma della scuola media superiore, l'Italia era uno degli unici 7 paesi fra i 75 aderenti al Bureau Int. d'Education che non contemplava la musica nella scuola: gli altri 6 erano Ceylon, Thailandia, Cina,Laos, Vietnam e Cambogia". Ok? Ci siete? Quindi terzo mondo reale e totale. Per la musica. E immaginiamo per il teatro, la danza, le arti "nuove", i musei. Chi insegna ai ragazzi a andare a teatro, a andare a sentire il jazz? Nessuno.
Quindi: no, la gente non spende poco perché non ha soldi, spende poco o nulla perché non è, in media, minimamente interessata alla musica, al divertimento fuori di casa, allo spettacolo in generale, ed è tenuta nell'ignoranza cronica e profonda, da decenni, ed è contenta così, pare. Questo dicono i numeri. Gli italiani ormai sono profondamente ignoranti, in media. E rincoglioniti".
 

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